Si torna a parlare di cristiani perseguitati

cristiani5Fino a qualche anno fa, in Occidente non si poteva parlare di cristiani perseguitati senza essere considerati reazionari. Oggi le cose stanno cambiando ed emerge una nuova realtà politica. (Henrik Lindell) La constatazione s’impone. C’era un tempo, diciamo dieci anni fa, in cui in Occidente non si poteva quasi parlare di “cristiani perseguitati” come di un vero problema senza correre il rischio di essere considerati immediatamente criptoreazionari. La questione era di competenza di organizzazioni militanti come ‘Aiuto alla chiesa che soffre’, da parte cattolica, e ‘Porte aperte’, da parte protestante.

Nuova sensibilità
All’epoca queste organizzazioni gridavano nel deserto denunciando ad esempio gli arresti di musulmani convertitisi al cristianesimo in certi paesi arabo-musulmani. Né l’ONU né la comunità internazionale (a parte forse l’amministrazione americana) né Amnesty International né la grande stampa internazionale accordavano particolare interesse alla questione, salvo per ritenersi urtati dal proselitismo di certi cristiani. Era ancora l’epoca in cui i fattori di violenza erano sempre politici, economici o sociologici. Mai religiosi.
Ma i tempi sono cambiati. Il numero dei cristiani perseguitati, discriminati e/o che si ritengono minacciati è esploso, in particolare nei paesi a maggioranza musulmana, ma anche in India e in certe dittature. Impossibile chiudere gli occhi: i “cristiani d’Oriente” stanno lasciando l’Oriente o si stanno concentrando in luoghi in cui si sentono sicuri, come nel Kurdistan iracheno o in Libano. In Iraq la popolazione cristiana si è dimezzata in dieci anni, come sottolinea ‘Le Monde’ in un’inchiesta sulle violenze contro i cristiani che riprende i dati di ‘Porte aperte’.

Presa di coscienza
Diverse organizzazioni islamiste violente come Al Qaeda e soprattutto Daesh (Stato islamico) – imponendosi su vaste zone dell’Iraq e della Siria – hanno cambiato la situazione anche sul piano strettamente militare. Più in generale, l’islamismo ultraviolento si esporta molto bene. Gli esperti del mondo arabo che qualche hanno fa hanno creduto di assistere allo sviluppo di società “post-islamiste”, nel contesto delle Primavere arabe, non si sono sbagliati? È proprio l’islamismo che si è sviluppato! Consideriamo l’attacco dello scorso 2 aprile in Kenya. Era per prima cosa collegato alla situazione caotica nella vicina Somalia. Ma non soltanto. Gli autori erano cittadini kenioti (più uno della Tanzania). Il numero degli islamisti radicali è in forte progressione in Kenya.
Tra le azioni concrete intraprese dal governo keniota possiamo certamente ricordare i bombardamenti dei siti di al Shabab, che hanno avuto un relativo successo. Si è commentato di meno il modo di proteggere gli studenti cristiani a Garissa (dove i musulmani sono la maggioranza): in realtà, da quando è avvenuto l’attentato non hanno davvero beneficiato di una maggiore protezione. L’esercito li ha semplicemente evacuati! Per loro è ormai troppo pericoloso restare nelle scuole miste in questa zona. Gli sterminatori jihadisti hanno dunque vinto.

Genocidio culturale
La presa di coscienza in Occidente del cambiamento in corso è incarnata da Laurent Fabius. Il 27 marzo, davanti al Consiglio di sicurezza dell’ONU, il ministro degli Affari esteri francese ha definito la persecuzione di cui sono vittime i cristiani e altre minoranze religiose una “impresa barbara di sradicamento etnico e religioso” e anche “un autentico genocidio culturale”. Al fine di permettere il ritorno di queste popolazioni, in Iraq e in Siria in particolare, il capo della diplomazia ritiene che le truppe mobilitate a terra dovrebbero garantire la loro sicurezza. Ha chiesto l’elaborazione di un “piano d’azione” e ha annunciato che la Francia è pronta ad accogliere, il prossimo luglio, una conferenza internazionale sulla questione.
Laurent Fabius non è ovviamente il solo, lungi da ciò, a cercare di trovare soluzioni per meglio proteggere i cristiani e altre minoranze religiose. Un po’ dappertutto i leader politici sottolineano la loro solidarietà con i cristiani, cavalcando peraltro l’onda della straordinaria popolarità di papa Francesco.

Il risveglio di Cameron
Per il weekend di Pasqua il primo ministro inglese David Cameron ha ritenuto opportuno ricordare che l’Inghilterra è “ancora un paese cristiano”, che “la fede ha un ruolo in questo paese” e che “i valori della fede cristiana sono i valori sui quali il nostro paese è costruito”. Un messaggio considerato con sospetto e irritazione dall’opposizione laburista, ma anche da molti credenti. L’editorialista del ‘Guardian’, quotidiano di sinistra, riassume così il problema: “Il cristianesimo di Cameron è un tentativo di non scioccare nessuno e, in quanto tale, insulta allo stesso tempo i cristiani e i non cristiani. Il suo elenco vago e stopposo di virtù: la compassione, il lavoro, la responsabilità, non ha nulla di peculiarmente cristiano”.
Impossibile dunque dire se questa presa di coscienza, del tutto relativa, sulla situazione dei cristiani porti a una nuova realtà politica costruttiva o se non sfoci semplicemente in una forma di recupero. Ma constatiamo almeno che le cose si muovono. (da ‘La Vie’; trad. it. G. M. Schmitt/voceevangelica.ch)

da: http://voceevangelica.ch/

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