Steve Jobs e la fede in ciò che non si vede

Se la fede è “fondamento delle cose che si sperano” e “prova di quelle che non si vedono” (Ebrei 11.1), possiamo dire che Steve Jobs fu un uomo di grande fede.

Quando decise di creare il personal computer, molti pensarono che fosse pazzo, ma lo fece!

Quando volle costruire i negozi di Apple con servizi di portineria come gli hotel, la gente non capì, ma lui vinse dei premi. Diede vita a cose che la maggior parte di noi non avrebbe neppure immaginato.

Sfruttando il suo carisma fino a distorcere la realtà, Jobs aveva un complesso di divinità. Poteva convincere se stesso e gli altri a credere praticamente qualsiasi cosa. In una scena del film Steve Jobs, quando l’ingegnere Andy Hertzfeld si lamenta del poco tempo a disposizione per creare un demo, Jobs dice: “Hai avuto tre settimane. L’universo è stato creato in un terzo del tempo.” Hertzfeld ribatte: “Beh, un giorno ci spiegherai come hai fatto”!

Pur non avendo bisogno del campo di distorsione della realtà di Jobs o del suo complesso di divinità per vedere quanto non può essere visto, abbiamo bisogno di fede.

Ma fede in che cosa? Ogni fede è creata uguale?

Credere nella fede in sé stessi

Secondo la psicologia moderna, l’autostima sta alla radice di tutti i nostri fallimenti e alla radice di tutti i nostri piccoli sogni. Abbiamo bisogno di credere in noi stessi, autorappresentarci positivamente, soffermarci sui nostri successi e smettere di pensare alle nostre imperfezioni.

Praticamente tutti nella nostra cultura condividono questo tipo di fede. Il creatore del pensiero positivo, Norman Vincent Peale, dice: “Credi in te! Abbi fede nelle tue capacità!”, il Direttore Esecutivo (COO) di Facebook, Sheryl Sandberg, scrive: “Vorrei poter dire a tutte le giovani donne con cui lavoro, a tutte queste donne favolose – credete in voi stesse e fatevi valere. Appropriatevi del vostro successo!”.

Ma la fede in sé stessi ha dei limiti. In primis, troppa confidenza spesso significa troppo poca paura di fallire – e la paura di fallire ha ragione di esistere nelle nostre vite. Ci dice dove facciamo bene e dove dobbiamo migliorare. Ci aiuta a scegliere rischi ragionevoli anziché insensati.

Inoltre, la fede in sé può distorcere la realtà. Se il suo campo di distorsione della realtà ha reso Jobs un imprenditore di successo, lo ha fatto fallire come padre. Nel film, è difficile non vedere la connessione tra il suo trauma da adozione e il rifiuto di sua figlia. Quando alla fine il suo personaggio accetta quello che ha fatto, ammette di “essere fatto male”. In altre parole, lui è un creatore, ma ben troppo umano.

Questa fede del credi-in-te-stesso si insinua anche nelle chiese. È più facile abbracciare una fede su cui possiamo avere una sorta di controllo. Possiamo essere disciplinati, seguire le regole e fare buone azioni. Possiamo leggeri i blog giusti, memorizzare i giusti catechismi e aderire alla giusta teologia. Poniamo Dio in debito nei nostri confronti e ci salviamo da soli con le buone opere.

Fede in qualcun altro

Abbiamo bisogno di fede in qualcosa di diverso da noi stessi ma il problema è che il mondo non ha fondamenta. Tutto è momentaneo e poco durevole. Le nostre famiglie e amici se ne andranno via o moriranno. Il nostro aspetto muterà (ci stanno già venendo le rughe!). La nostra sicurezza economica vacillerà.

L’autore dell’Epistola agli Ebrei propone una fede con fondamenta salde (ma invisibili). Scrive:

“Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, (…) perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio”. (Ebrei 11:8-10)

In tutta la sua vita, Abraamo fu sempre più spesso chiamato da Dio in un contesto di insicurezza. Dio gli disse di lasciare il suo paese e, quando Abraamo gli chiese dove andare, Dio rispose: “Te lo dirò più tardi”. Dio gli disse che gli avrebbe dato un figlio e, quando Abraamo chiese come, Dio rispose: “Te lo mostrerò più tardi”. Dio gli disse di salire sulla montagna per sacrificare suo figlio e, quando Abraamo chiese perché, Dio rispose. “Te lo dirò più tardi”. Abraamo rispose alla chiamata con insicurezza, più e più volte.

Il Signore ha sradicato le false fondamenta di Abraamo perché voleva che fosse una persona di sostanza dalla fede irremovibile – non in se stesso, ma in Dio. Voleva che Abraamo vedesse quello che non poteva vedere: “una città eterna con fondamenta salde”.

E queste fondamenta non sono basate sulla forza della nostra fede ma sulla forza dell’oggetto della nostra fede. In altre parole non abbiamo bisogno del campo di distorsione della realtà di Jobs o del suo complesso di divinità per avere grandi sogni; abbiamo bisogno di un Dio grande e reale. Come Tim Keller illustra:

“Se stai cadendo in uno strapiombo e vedi un ramo a cui attaccarti, non ti salvi per la tua fede nel ramo. Anche nel dubbio, se lo raggiungi, quel ramo ti salverà, ammesso che le sue radici siano forti”.

Se ci sono due persone su un aereo – uno ha la fobia di volare e pensa che l’aereo precipiti ad ogni scossone, l’altro un è viaggiatore abituato che dorme durante le turbolenze – che la loro fede sia grande o piccola non importa, ciò che conta è l’abilità dell’equipaggio e l’integrità del velivolo.

Per questo Gesù dice: “Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senape, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.” (Matteo 17:20) – non perché crediamo in noi stessi, ma perché crediamo in Colui che ha creato la montagna.

Dio, il nostro Creatore, è venuto a dimorare tra noi come un uomo (Giovanni 1:14), ma a differenza di Jobs, non ha difetti. Anche se ha creato l’universo in una settimana con la sua semplice parola, si è umiliato diventando obbediente, fino alla morte sulla croce (Filippesi 2:5-11). E lo ha fatto perché la nostra fede in noi stessi non ci può salvare; abbiamo bisogno di un Salvatore. Ha preso i nostri difetti e i nostri peccati affinché potessimo prendere la Sua perfezione e la Sua bellezza.

(Traduzione a cura di Filippo De Chirico)

Tematiche: Vita Cristiana

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