Teologia biblica e la crisi della sessualità

Oggi, la cultura occidentale sta vivendo quella che può essere definita una vera e propria rivolta morale.

Il codice comportamentale della nostra società e la comune valutazione etica di determinati argomenti non hanno subìto solo qualche piccola alterazione, ma un completo ribaltamento. Ciò che la collettività un tempo censurava, oggi viene magnificato, e chi si rifiuta di lodare taluni atteggiamenti, nella migliore delle ipotesi viene messo alla gogna.

Ciò che rende l’attuale rivoluzione etico-sessuale così diversa dalle precedenti rivoluzioni morali è l’inaudita rapidità con cui ha preso piede. Le generazioni passate hanno vissuto rivoluzioni morali durate decenni, in certi casi addirittura secoli, ma l’attuale moto di ribellione che sta pervadendo la nostra società viaggia a velocità più che supersonica, diremmo superluminale (1).

Ora, poiché la Chiesa deve opporre una reazione a tale fermento, dobbiamo ricordare che gli attuali dibattiti sulla sessualità la pongono di fronte a un problema irriducibilmente e ineluttabilmente di natura teologica. È una crisi che sembra avere gli stessi contorni della sfida teologica lanciata alla Chiesa primitiva dallo gnosticismo o dal pelagianesimo di epoca agostiniana. In altre parole, questa crisi della sessualità tende a compromettere la visione che la Chiesa ha del Vangelo, del peccato, della salvezza e della santificazione. I paladini di questa sessualità emergente reclamano una completa riscrittura della metanarrativa (2) biblica, un netto rimodernamento della teologia e una metamorfosi profonda del modo in cui i cristiani concepiscono il ministero della Chiesa.

 

È il “transgender” ammissibile?

La prima reazione dei protestanti conservatori, attenti a una strategia di recupero teologico e alla sua riaffermazione, è quella di scandagliare le Scritture, alla ricerca di testi che corroborino la nuova dottrina di turno. Un simile riflesso ermeneutico nasce istintivamente nei cristiani evangelici che credono nell’infallibilità della Parola di Dio.

Insieme a B.B. Warfield, noi affermiamo che “quando parla la Scrittura, è Dio stesso che parla”. Malgrado ciò, per amore di verità, devo far notare che tale reazione non è sbagliata, ma neanche del tutto corretta. Non è sbagliata perché certe dichiarazioni scritturali (vale a dire, quei punti biblici comunemente usati per avallare i principi fondamentali della teologia cristiana) affrontano questioni specifiche in un modo diretto e identificabile. Sussistono, tuttavia, degli ovvi limiti a questo tipo di metodologia teologica, che mi piace chiamare “riflesso di coincidenza”. Cosa succede quando, in una disputa su uno di questi nuovi temi di dibattito teologico, ci accorgiamo che la Bibbia non menziona affatto quella parola? Molte delle disquisizioni teologiche più importanti non si possono ridurre al semplice cercare i termini collegati o i versetti corrispondenti in una concordanza. Provate a cercare “transgender” nella vostra chiave biblica. E che dire di “lesbica”? O di “fecondazione in vitro”? Non credo che troveremo questi termini nella Bibbia.
Ora, tranquillizziamoci. Il problema non è la che Scrittura è insufficiente; è il nostro approccio ad essa che, spesso, risulta inadeguato. Accostarsi alla Parola puramente per cercare qualche versetto che supporti la nostra linea dottrinale, produce una Bibbia impersonale, priva di contesto, slegata dalla “teologia del patto” e mancante di uno schema narrativo culturale, tre elementi ermeneutici essenziali per una corretta comprensione della Scrittura.

 

Una teologia biblica del corpo

La teologia biblica è assolutamente indispensabile per la Chiesa al fine di dare una risposta appropriata all’attuale fermento sessuale. Il Corpo di Cristo deve imparare a leggere le Scritture conformemente al suo contesto, che diventa un tutt’uno con il suo principale filo narrativo e che viene progressivamente rivelato, secondo la relazione di unione e comunione esistente tra Dio e il Suo popolo, improntata a reciproco amore e fedeltà. Dobbiamo imparare a interpretare ogni questione teologica attraverso la metanarrativa scritturale della creazione, della caduta di Adamo, della redenzione del genere umano e della palingenesi. Nello specifico, gli evangelici devono sviluppare una teologia del corpo che resti saldamente ancorata al dramma della redenzione che ha luogo nella Bibbia.

 

La creazione

In Genesi 1:26-28 leggiamo che Dio fece l’uomo, differentemente dal resto della creazione, a sua immagine. Il passo dimostra che lo scopo di Dio per l’umanità era farle condurre un’esistenza incarnata. Genesi 2:7 evidenzia questo stesso aspetto. Dio trae l’uomo dalla polvere e trasfonde in lui il respiro della vita. Questo indica che, prima di essere individui, eravamo dei corpi, e il corpo fisico, lo abbiamo realizzato, non può essere considerato un semplice accessorio della nostra personalità.
Adamo ed Eva avevano ricevuto l’incarico di moltiplicarsi e di rendersi soggetta la terra e fu attraverso i loro corpi che, per la creazione di Dio e in virtù del suo piano sovrano, poterono adempiere al mandato di recare l’immagine del loro Creatore. Ma, dalla narrativa della Genesi, scopriamo anche che il corpo ha delle necessità. Adamo avvertiva il senso della fame, per cui Dio gli mise a disposizione l’intero raccolto dell’Eden. I bisogni dell’uomo sono la chiara espressione, nell’ambito dell’ordine creato (il kosmos, n.d.t.), che Adamo è un essere finito, dipendente e subordinato. Oltre a ciò, egli ebbe bisogno di una compagnia e Dio gli diede una moglie, che chiamò Eva. I nostri due progenitori furono incaricati di riprodursi, riempiendo la terra di altri “portatori dell’immagine di Dio”, grazie all’uso corretto della capacità riproduttiva del corpo col quale erano stati creati. Unito a ciò, avrebbero sperimentato il piacere fisico che un uomo e una donna provano, allorché si uniscono carnalmente, ovvero, per dirla secondo il linguaggio biblico, “diventano una sola carne”, cioè un solo corpo.
Il racconto della Genesi è anche la prova che il “genere” fa parte di quella creazione che Dio aveva definito “buona”, e che non è una semplice costruzione sociologica imposta agli esseri umani e suscettibile di eventuali e molteplici cambiamenti. Il libro della Genesi ci insegna piuttosto che il genere è stato creato da Dio per il nostro bene e per la sua gloria. Esso ha come intento la prosperità dell’uomo, al quale fu attribuito dalla volontà sovrana del Creatore, che ha altresì stabilito quando, dove e con quale scopo dobbiamo esistere. Insomma, Dio ha voluto plasmare la sua immagine in forma di essere incarnato. In quanto tali, ha dato agli uomini il dono e la gestione della sessualità; il modo stesso in cui siamo fatti testimonia che, in ciò, va ravvisato il proposito di Dio.
In più, la Genesi colloca l’intera questione in una prospettiva di alleanza (3). La riproduzione umana non serve meramente a moltiplicare la razza, ma mette in evidenza il fatto che Adamo ed Eva dovevano procreare per riempire la terra con la gloria di Dio, riverberata dai suoi “portatori di immagine”.

La caduta dell’uomo

La caduta, quel triste e pur inevitabile accadimento nel mosaico della storia della redenzione, ha deturpato il dono del corpo, anch’esso “buono”, datoci da Dio. L’ingresso del peccato nel mondo ha prodotto la mortalità del corpo. In termini di sessualità, la caduta ha guastato i piani di Dio, quanto alla mutua funzionalità sessuale. Da allora, la donna cercherà di dominare sul marito (Genesi 3:16) e la vita materiale sarà dura tanto per l’uomo (3:17-19), quanto per la sua compagna, la quale sperimenterà il dolore legato al parto (3:16).
I racconti che seguono evidenziano la comparsa di attività sessuali aberranti, dalla poligamia allo stupro, che la Scrittura non cerca di nascondere ma, anzi, narra con notevole franchezza. Successivamente, Dio diede la Legge, tesa a dare un freno al libertinaggio sessuale. Essa disciplinava la sessualità e le manifestazioni di genere, esprimendo una chiara presa di posizione in merito alla morale sessuale, al travestimento, al matrimonio, al divorzio e su altre questioni di natura fisica e sessuale.
 È notevole che l’Antico Testamento stabilisca una relazione tra l’idolatria e il peccato sessuale. I riti orgiastici, la cosiddetta “prostituzione sacra” e altre mostruose perversioni del buon dono che Dio aveva fatto del corpo, vengono viste come parte integrante delle pratiche idolatriche. La stessa indicazione seguirà Paolo, nel primo capitolo della sua lettera ai Romani, dove condanna i pagani che non si sono limitati a trasformare “la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili” (Rom. 1:23) e a mutare “la verità di Dio in menzogna”, ma addirittura “hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore” (Rom. 1:25) e raggiunto l’apice della depravazione, giacché uomini e donne hanno invertito i propri naturali orientamenti sessuali, infiammandosi di libidine verso membri dello stesso sesso (Rom. 1:26-27).

 

La redenzione

In merito alla redenzione, dobbiamo osservare che uno degli aspetti più rilevanti è la sua attuazione grazie a un Salvatore che assunse un corpo. “La Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi”, dice Giov. 1:14 (cfr. anche Fil. 2:5-11). La redenzione umana fu resa possibile dal Figlio di Dio fattosi uomo, che, risorto dai morti, continuerà ad avere un corpo fisico per l’eternità. Paolo attesta chiaramente che tale salvezza non riguarda solo le nostre anime, ma include anche i nostri corpi. Rom. 6:12 parla del peccato che regna nei nostri “corpi mortali”, il che implica la speranza di una futura redenzione fisica. Rom. 8:23 afferma che la “redenzione dei nostri corpi” è parte della nostra speranza escatologica. Anche al presente, nella nostra vita di santificazione, ci viene comandato di presentare i nostri corpi in sacrificio vivente, quale vero culto spirituale offerto a Dio (Rom. 12: 2). Per di più, Paolo definisce il corpo di quelli che sperimentano la redenzione, il “tempio dello Spirito Santo” (1 Cor. 6:19). Ciò è un chiaro indizio del fatto che, quando si parla di santificazione, s’intende che essa deve interessare pure la sfera materiale, quindi il nostro corpo. L’etica sessuale neotestamentaria, al pari di quella sviluppata nell’Antico Testamento, regola le nostre espressioni di genere e sessualità. La porneia, termine greco indicante l’immoralità sessuale di ogni tipo, è condannata con forza da Gesù e dagli apostoli. Anche Paolo dice apertamente ai fedeli di Corinto che i peccati sessuali commessi nel corpo (1 Cor. 6:18) sono l’elemento negativo che discredita la Chiesa e la sua predicazione, denunciando coram populo che il vangelo si è in qualche modo rivelato inefficace (1 Cor. 5-6).

 

 

La palingenesi o nuova creazione

Infine, eccoci al quarto e ultimo atto del dramma della redenzione: la nuova creazione.
 In 1 Cor. 15:42-57, Paolo non presenta la risurrezione dei corpi, nella nuova creazione, come un concetto astratto, ma, al contrario, citando la risurrezione corporale di Cristo, la dà per garanzia e speranza di quella prossima degli eletti. La nostra risurrezione sarà l’esperienza della gloria eterna nel corpo. Questo corpo diventerà la prosecuzione, modificata e perfezionata, della nostra attuale esistenza incarnata, sul modello del corpo di Gesù, che al presente, seduto alla destra di Dio, possiede il medesimo corpo che ebbe sulla terra, ma del tutto glorificato.
La nuova creazione non sarà semplicemente il ripristino delle condizioni vigenti nel giardino dell’Eden, ma sarà di gran lunga migliore. Come ha osservato Calvino: “Nella palingenesi conosceremo Dio non solo come Creatore ma quale Artefice della nostra redenzione, che include i nostri corpi. Regneremo con Cristo coi nostri corpi, poiché Egli è anche il Signore incarnato e regnante di tutto il kosmos”.
Quanto alla sessualità, mentre il genere continuerà ad esistere, nella palingenesi scomparirà l’attività sessuale. Non che il sesso verrà annullato, piuttosto, sarà adempiuto. La cena escatologica delle nozze dell’Agnello, rito verso cui, sulla terra, convergono il matrimonio e la sessualità, sarà finalmente una realtà. Non sarà più necessario riempire la terra di portatori d’immagini, come era stato in Genesi 1, poiché la terra sarà riempita di conoscenza della gloria di Dio come le acque coprono il mare.

 

L’indispensabilità della teologia biblica

La crisi della sessualità ha dimostrato lo scarso successo, se non il fallimento completo, del metodo teologico adottato da molti pastori. Il “riflesso di coincidenza” semplicemente non ha il potere di mettere in atto quel modello di rigoroso pensiero teologico che oggi è necessario propugnare dai pulpiti.

Io credo che la soluzione sia che pastori e chiese riconoscano l’indispensabilità della teologia biblica, impegnandosi a interpretare le Scritture secondo la propria logica intrinseca, quella di una storia che si muove dalla creazione alla nuova creazione. Grande e inderogabile è il compito ermeneutico posto davanti a noi, in vista del fedele impegno degli evangelici con la cultura.

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