Torino. Muore a 37 anni dopo aver abortito con la Ru486

Pillola-abortivaAncora inspiegabili i motivi del decesso, anche se potrebbe trattarsi del primo caso italiano. Una donna di 37 anni, già madre di un altro bimbo, è morta all’Ospedale Martini di Torino dopo la somministrazione della pillola abortiva.

Nonostante tutti gli esami precedenti avessero escluso qualsiasi tipo di anomalia, la donna è morta per arresto cardiaco a poche ore dall’assunzione del secondo farmaco per l’interruzione di gravidanza. A nulla sono valsi i tentativi dei medici di rianimarla.
Il personale ospedaliero non sa spiegarsi l’accaduto e ha predisposto l’autopsia, che sicuramente saprà fornire delle risposte. Il Direttore Sanitario, Paolo Simone: “Anche per noi questa tragedia non ha una spiegazione. Ma possiamo garantire di aver rispettato fin dall’inizio il protocollo per l’interruzione di gravidanza col metodo farmacologico, così come possiamo garantire di aver fatto tutto ciò che era umanamente e professionalmente possibile anche nei due tentativi di soccorrere la signora, dopo le crisi respiratorie”.
Purtroppo il sospetto è che sia stata proprio la pillola a causare le complicazioni cardiache e poi la morte. Se l’autopsia lo confermasse, sarebbe il primo caso in Italia, ma negli Stati Uniti ne sono già avvenuti almeno otto. (Fonte)
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11 aprile 2014
Torino, donna muore dopo l’aborto con la pillola
Primo caso in Italia. I medici: “Negli esami non c’erano anomalie”

Una donna di 37 anni è morta, all’ospedale Martini di Torino, subito dopo un’interruzione volontaria di gravidanza con la pillola Ru486. Se l’autopsia confermerà oggi quelli che sono i primi sospetti dei medici, si tratta del primo caso in Italia, mentre negli Stati Uniti si contano almeno già otto vittime della cosiddetta pillola dell’aborto.

La tragedia risale all’altra sera. La donna, madre di un altro bambino, aveva deciso per l’interruzione di gravidanza e il 4 aprile le era stato somministrato mifepristone, la sostanza che entro 48 ore massimo ferma la gestazione. Due giorni dopo, mercoledì scorso, secondo quanto indicato nel protocollo, si è ripresentata in ospedale per la somministrazione dell’altro farmaco, la prostaglandina, che provoca le contrazioni uterine necessarie all’eliminazione della mucosa e dell’embrione.

In entrambi i casi la signora è stata visitata, sottoposta a ecografia, «e nulla di anomalo o sospetto è stato mai rilevato», sottolineano in ospedale. Ma quattro ore dopo l’aborto e la somministrazione di un antidolorifico la signora ha chiesto aiuto: «Non riesco a respirare, manca l’aria». È stata portata in sala visita, le è stato fornito ossigeno, fatto un ecocardiogramma grazie al quale «è stata diagnosticata una fibrillazione ventricolare», cioè un’aritmia che scatena contrazioni irregolari del cuore.

La situazione è precipitata un istante dopo. Si ipotizza un embolo prodotto dalla fibrillazione. «La signora – conferma il dottor Paolo Simone, direttore sanitario dell’Asl To2 da cui dipende l’ospedale – ha perso improvvisamente conoscenza. Il cuore si è fermato, è stato necessario utilizzare il defibrillatore e il battito è ripreso». La situazione pareva arginata, la donna ha ripreso conoscenza, è stata portata in Rianimazione e collegata ai monitor. Alle 22,20, però, l’ha colpita e uccisa una nuova e più grave crisi: inutili i 25 minuti di nuovi tentativi disperati per far ripartire il cuore.

La direzione dell’ospedale Martini ha deciso di procedere con l’autopsia, prima ancora del possibile intervento della procura. La famiglia, immediatamente avvertita del dramma, per ora non ha sporto denuncia né contro un medico in particolare né contro ignoti, motivo per cui non c’è stato al momento sequestro delle cartelle cliniche della vittima. La direzione generale e quella sanitaria del Martini hanno chiesto e ottenuto una relazione dal medico che ha seguito la donna.

«Siamo sconvolti, e vicini alla famiglia della signora – dice sempre il direttore sanitario, Paolo Simone –. Anche per noi questa tragedia non ha una spiegazione. Ma possiamo garantire di aver rispettato fin dall’inizio il protocollo per l’interruzione di gravidanza col metodo farmacologico, così come possiamo garantire di aver fatto tutto ciò che era umanamente e professionalmente possibile anche nei due tentativi di soccorrere la signora, dopo le crisi respiratorie».

Stando alle informazioni sulla cartella clinica, la donna non soffriva di particolari patologie e non era quindi a rischio rispetto al metodo utilizzato per interrompere la gravidanza. La direzione dell’ospedale ha già incontrato alcuni dei familiari. È stata messa a disposizione del figlio una psicologa.

Soltanto l’autopsia potrà insomma far luce sulla vicenda. La donna, prima della decisione di sospendere la gravidanza scegliendo l’aborto farmacologico anziché quello chirurgico, era stata visitata dal ginecologo che non avrebbe dato parere contrario. Segno ulteriore che non c’erano timori evidenti di patologie che potessero esporla al pericolo.

Il Piemonte è la regione che – dopo l’Emilia Romagna – ha effettuato nel 2010-2011 più interruzioni volontarie di gravidanza con la Ru486. Proprio a Torino era esplosa la polemica sulle dimissioni delle pazienti tra la somministrazione del primo e quella del secondo farmaco: da evitare categoricamente, secondo il ministero della Salute, irrilevante sul fronte dei rischi secondo il dottor Silvio Viale, paladino e primo sperimentatore della Ru486. Nel caso della paziente vittima al Martini, «tra la somministrazione del mifepristone e quella delle prostaglandine non ha segnalato ai medici alcun disturbo». Cosa che purtroppo rende ancora più misteriosa questa tragica fine in ospedale.

Fonte: La Stampa

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