Un giusto giudizio critico per vivere sereni

La vita di ognuno, nella società del terzo millennio, è costantemente sollecitata da stimoli di varia natura e vario genere. L’essere umano si trova ad occupare le proprie risorse cognitive in più compiti simultaneamente compromettendo la capacità di discernimento, difatti si trova a credere in cose che di per sé sono delle bufale; le così dette fake news ne sono l’emblema esempio. Occupare la mente in più stimoli contemporaneamente è un fenomeno chiamato “multitasking” (dall’inglese task, compito) origina dall’informatica, secondo cui il multitasking è la capacità di un sistema operativo di eseguire più compiti simultaneamente. La velocità dei congegni elettronici, sia in ambito lavorativo che privato, che girano a giga bit sempre più potenti e veloci, se da un lato hanno reso le comunicazioni istantenee, dall’altro hanno creato una mente facilmente vulnerabile. Vulnerabilità, intesa come incapacità di giudizio critico. «….giudicate con giusto giudizio» afferma Gesù (Giovanni 7:24). Giudicare letteralmente è la capacità di formulare un’opinione propria, personale relativa ad un qualsiasi cosa; in sostanza è la capacità di discernere e comprendere azioni, pensieri, moti dello spirito proprio e altrui per un consolidare il senso di esistere.

Senza il potere del giudizio critico la mente perde il controllo sulle proprie azioni, pensieri ed emozioni, per cui in un clima di vuoto interiore il potere dei media e della rete che, costantemente attiva nelle nostre case, 24 ore su 24, assorbe il sonno, la quiete interiore, l’intimità con il partner con il figlio, con il coniuge. Si ha così un turbamento dell’anima che non trova appagamento nella dimensione affettiva con l’altro. L’altro, il prossimo, diventa l’oggetto dei propri desideri egoisti. Si interrompe, così, quella dinamica di amore tra l’altro e Me: «ama il prossimo tuo come te stesso» (Marco 12, 31) afferma Gesù, ma quando questo comandamento è interrotto è senza movimento perché si sofferma solo al se stesso. Un amore che contempla solo se stesso non è amore poiché non c’è apertura al prossimo per cui, alla lunga, diventa noiosa ogni forma di relazione (Riccardi. P., Parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo. Ed. Cittadella assisi 2016). Ed è la noia il terreno fertile e ricettivo delle tante stimolazioni che dall’esterno invadono la nostra mente eccitando l’organismo. E solo quando l’eccitazione arriva al suo culmine che l’organismo si acquieta per un momentaneo tempo perché senza il giudizio critico subito un’altra eccitazione è pronta e così via in un gioco senza fine che non appaga in serenità d’animo.

Pasquale Riccardi D’Alise

 

 

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