Un teologo tra gli scioperanti

Nel 1918, dopo anni di guerra, fame e privazioni, i lavoratori svizzeri avevano sete di giustizia e chiedevano la loro parte di ricchezza sociale. Il teologo Leonhard Ragaz prese le loro difese.

(Delf Bucher) Domenica 10 novembre 1918: sulla piazza del Fraumünster, a Zurigo, settemila lavoratori affrontano poco più di cinquanta soldati armati di mitragliatrici. È in corso la commemorazione, proibita, della Rivoluzione russa del 1917. L’ordine di evacuazione impartito dai militari viene ignorato dalla massa incollerita. Affamati dopo i lunghi anni di guerra, impoveriti dalla mobilitazione alla frontiera senza compensazione dei salari, ne hanno abbastanza della guerra e dell’esercito. Il comandante della piazza, Emil Sonderegger, ordina di sparare. E i colpi partono. Proiettili vaganti feriscono quattro manifestanti. Un colpo partito da una pistola non meglio identificata uccide un soldato.

Socialismo etico
Quel pomeriggio i colpi vengono uditi anche nell’abitazione di Leonhard Ragaz. Il professore di teologia raggiunge in fretta la terrazza del Grossmünster e osserva le scene che scatenarono lo sciopero generale di 100 anni fa. La folla si sta già disperdendo e la cavalleria si appresta a caricare.

Leonhard Ragaz (1868-1945)

Un teologo tra gli scioperanti

Poche ore dopo lo scoppio dello sciopero, Ragaz stese una dichiarazione che inizia con la frase: “Non consideriamo i fondamenti dell’ordine sociale dominante sbagliati e marci soltanto per motivi politici, sociali e economici, bensì anche e soprattutto per motivi religiosi. La fede in Cristo e nell’imminente regno di Dio, così come noi lo intendiamo, comprende tutte le più elevate e radicali promesse e richieste del socialismo”.
Una cosa era importante per lui: il socialismo doveva fondarsi su una “base spirituale ed etica” e quindi distinguersi chiaramente dalle “correnti che credono nella violenza” come il bolscevismo.

Per l’evangelo e contro la violenza
Quella domenica a Zurigo il Comitato di azione di Olten, composto da leader dei lavoratori svizzeri, impressionato dalla violenza militare, indice lo sciopero generale nazionale. Ragaz non partecipa allo sciopero. Protesta invece contro i soldati che con elmetti d’acciaio e baionette inastate pattugliano l’università. I suoi seminari di teologia sono poco frequentati. Alcuni studenti non scioperanti sono per strada a distribuire un supplemento della Neue Zürcher Zeitung nel quale si condannavano i disordini. Nel diario scrive, riferendosi ai suoi studenti di teologia, che non trova affatto piacevole “che rappresentanti del Vangelo parteggino in questo modo per le baionette e per i ricchi”.

Clara e Leonhard Ragaz-Nadig

Un teologo tra gli scioperanti

Tre anni dopo, Leonhard Ragaz lascia l’università e si trasferisce nel quartiere operaio di Aussersihl, dove insieme con la moglie Clara Ragaz-Nadig si dedica all’istruzione degli adulti.
Pochi giorni dopo la fine dello sciopero scrive un articolo per il mensile religioso-sociale “Neue Wege” [da lui fondato nel 1906, ndr.]. In esso equipara il potere dello Stato in Svizzera al sistema bolscevico. Perché, afferma, il governo svizzero è un’“autorità illegittima” che fonda il proprio potere sulla violenza.

Nessuna rivoluzione alla russa
Fu proprio l’impiego dell’esercito contro i lavoratori già in occasione dello sciopero generale di Zurigo del 1912 il fattore scatenante del fermo pacifismo di Ragaz, sostiene oggi la pastora Esther Straub. Per la consigliera sinodale zurighese, aderente al movimento religioso-sociale, che si identifica a tal punto nel pensiero di Leonhard e Clara Ragaz da considerarsi loro erede, l’attualità del teologo è indiscutibile. Perché il regno di Dio non è in un cielo lontano, ma “deve andare in scena qui, sulla terra”.

Un teologo tra gli scioperanti

Secondo Straub si può ricorrere a Ragaz anche per rispondere alla provocatoria tesi di Christoph Blocher, secondo il quale lo sciopero generale sarebbe stato lanciato, in Svizzera, come preludio di una rivoluzione “alla russa”. Ragaz era ben inserito nella rete dei lavoratori e aveva nettamente escluso quell’ipotesi. “Inoltre aveva giustamente affermato”, aggiunge Straub, “che i lavoratori svizzeri non avrebbero sopportato una dittatura del proletariato secondo il modello di Lenin per più di quattordici giorni”. (da reformiert.; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

Da: voceevangelica.ch

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