Clima: stiamo tutti all’erta di fronte agli inquietanti cambiamenti climatici

13. 3. 9. - 48Il 13 dicembre 2009 nella mia, come in molte altre città del mondo, suonavano le campane. Segnalarono il pericolo del riscaldamento globale. Suonarono per i leader del mondo che in quei giorni a Copenaghen erano impegnati nella «Conferenza sul Clima». E suonarono per la gente in piazza che conversava sulla cronaca locale e incuriosita prendeva in mano il volantino: «Signora, sa che le campane avvertono del clima che sta cambiando?» – «Ah, ci stavamo appunto chiedendo chi fosse il morto, dato che non finiscono più». Sono stati battuti 350 rintocchi per avvertire della soglia sopportabile di concentrazione del CO2 nell’aria (350 parti per milione), soglia fissata per evitare il riscaldamento globale dei 2° C. Già quattro anni fa la concentrazione del CO2 era arrivata a 390 ppm e a maggio di quest’anno il valore, secondo i dati dell’osservatorio di Moana Loa, nelle Hawaay, ha superato per la prima volta i 400 ppm, una concentrazione di CO2 nell’atmosfera che secondo le stime degli scienziati si è verificata l’ultima volta nel Pliocene, 3 milioni di anni fa.

Le conseguenze di questo riscaldamento sembrano essere sotto i nostri occhi in questi giorni: trombe d’aria dove non si erano mai verificate, aumento dei temporali serali, grande violenza di precipitazioni alimentano le perplessità di chi si espone al clima estivo. «Mi sono trasferito in un paese tropicale senza aver mai fatto i bagagli», ha scritto qualcuno su Facebook. Le percezioni personali sono ben accompagnate dai rilevamenti oggettivi, per esempio dello scioglimento dei ghiacci al Polo Nord, che sembra aver perso dagli anni ‘50 il 40% delle sue nevi perenni. Oggi in estate le navi non devono più aggirare la calotta di ghiaccio polare, ma possono passarvi attraverso e alla fine di maggio la base artica russa «North Pole 40» è stata costretta a traslocare per lo scioglimento dei ghiacci su cui fu costruita. E anche altrove il riscaldamento globale può essere rivelato nello scioglimento dei ghiacci.

Nelle Alpi svizzere il ghiacciaio del Rodano viene coperto di teli per essere protetto contro il caldo.

Ma le conseguenze economiche del cambiamento climatico vanno ben oltre le preoccupazioni turistiche. A partire dai danni provocati nell’agricoltura e i conseguenti rincari dei prezzi degli alimenti base, attraverso i «profughi climatici» costretti già adesso a lasciare le loro terre perché franate, o esposte a siccità, o inglobate nei deserti, fino alla distruzione dell’habitat degli animali e la ridotta riproduzione, per esempio dei pesci, le conseguenze economiche sono ingenti, con tendenza all’aumento.

Date le previsioni erano in molti a nutrire la speranza di una drastica riduzione del biossido di carbonio a partire dai decreti intergovernativi. Speranza finora delusa, nonostante il gran numero di assise che si sono già succedute a questo proposito: ben 18 incontri intergovernativi con il 19° previsto per quest’autunno a Varsavia. Di fronte alla richiesta di materie prime per alimentare i consumi i governi hanno le mani legate. Finché l’unica formula di prosperità economica è la crescita della produzione, nessun governo si potrà permettere di interrompere lo sfruttamento delle energie del sottosuolo, la loro trasformazione industriale in prodotti di consumo e l’accumulo degli stessi in discarica – negli Usa il 99% di tutti i prodotti di consumo già dopo sei mesi.

In questo ciclo, che il sistema economico corrente descrive come «crescita», ogni passaggio è responsabile di nuove emissioni CO2 nell’atmosfera. Ignara dei danni che provoca, l’economia richiede sempre più legna, petrolio, alluminio, zinco, rame, carbone, terre rare per alimentare il consumo del mondo, che deve rimanere in costante crescita. Se il consumo non cresce non ci sono nuovi profitti. Se non ci sono nuovi profitti crolla il sistema che tra tanti privilegi per pochi, prevede però anche il pagamento delle pensioni, le cure sanitarie, la sicurezza alimentare. Quale governo, di fronte a queste implicazioni, potrebbe rischiare più delle sue tiepide promesse di riduzione in un futuro prossimo?

Nell’Italia evangelica la commissione Globalizzazione e Ambiente (Glam) da 15 anni si è attivata per provare a immaginare l’uomo e la donna e la loro economia in armonia con il creato: un pensiero articolato in due direzioni. Le principali risorse della Glam sono spese per favorire un cambiamento «dal basso». La Glam infatti si rivolge alle chiese con pubblicazioni (l’ultima di cui il Dossier spiritualità 2012 – Spiritualità e creato Pensieri, poesie, testimonianze e il nuovo numero dell’equomanuale I soldi e/o il Sesso – la tratta delle donne), conferenze (come quella su Vivere nei debiti, Roma 2012) e seminari (ogni due anni a Casa Cares: prossima sessione 11-13 ottobre). Il radicamento nelle chiese le ha permesso di creare una rete di «eco-comunità» che condividono esperienze e buone pratiche sulla via della conversione verso un’economia della giustizia. La Glam accompagna le comunità con una semplice «griglia» di 40 raccomandazioni di buone pratiche, affinché il proprio impatto sul pianeta sia sostenibile.

Il secondo ambito in cui opera questa commissione della Federazione delle Chiese Evangeliche (Fcei) è quello internazionale. L’attiva partecipazione dei suoi membri in organismi europei come l’Ecen (European Christian Environmental Network), la Call (Church Action for Labour and Life), entrambi strettamente legati alla Conferenza europea delle Chiese (Kek), o il movimento Oikotree del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), permette di far sentire l’istanza italiana a livello internazionale e cooperare nell’approccio alle istituzioni, come il Parlamento Europeo, con voci di lobbying diverse da quelle delle transnazionali che monopolizzano gli atri delle aule dei parlamenti.

L’impegno di molte comunità evangeliche italiane da Riesi a Milano, da Prali a Mottola, da Civitavecchia a Isola del Liri testimoniano la voglia di cambiare per uscire dalla logica della crescita devastante. Sono cambiamenti che avvengono con grande lentezza, ma avvengono. «Quanto ancora?», chiese Martin Luther King in un suo discorso. «Non molto, perché il braccio dell’universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia».

Da riforma.it

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