Intervista a Salvatore Puglisi: un padre coraggio, determinato a combattere l’immobilismo dei burocrati della disabilità

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Foto0040Nascondono la vera dimensione della disabilità per ignorare i bisogni assistenziali… La diversità e la disabilità sono lo stesso volto della fastidiosa ipocrisia che considera i bambini disabili speciali, forse perché così è possibile colmare le mancanze del nostro welfare. Sono molti i quesiti senza risposta che la disabilità attende, considerato un affare privato delle famiglie, in cui il ruolo solidale dello Stato sociale è quello di defilarsi, lasciandole sole nella gestione del complesso carico di cura.

I sacrifici sono notevoli da sopportare per il benessere dei propri figli, anche se questo implica raccontare l’intimo e doloroso vissuto, com’è successo per Salvatore Puglisi, che si è sempre battuto per migliorare la qualità di vita di suo figlio Domenico. Abbiamo scelto di raccontare la sua storia perché crediamo nella giustizia sociale e perché questo padre ha un messaggio davvero importante da inviare a quanti stanno cercando la luce della speranza.

Sig. Puglisi perché ha sentito la necessità di scrivere la sua storia della disabilità di suo figlio?

Ho scritto la biografia di mio figlio per il grande amore che ci lega e per mandare un chiaro messaggio a tutte le famiglie che sconoscono alcune possibilità per migliorare le gravi condizioni psicofisiche dei propri figli. Non ho mai accettato l’insufficienza delle Istituzioni e degli addetti ai lavori, nella ricerca e nell’aggiornamento su delle tecniche riabilitative già esistenti, ma ignorate sia dai tecnici e di conseguenza anche dalle famiglie con soggetti affetti da difficoltà cognitive. Ritengo “inaccettabile” che la disinformazione che le rende ancor più isolate. E’ necessario fare un bagno di umiltà per un cambiamento culturale su queste problematiche, per il bene supremo di tanti bambini che soffrono.

 

Può spiegarci cosa significa vivere una “normalità discriminante”?

La percezione della disabilità per l’esterno non rispecchia la vera condizione vissuta dalla famiglia; per noi, così come per tutti i genitori di un disabile, è stata una normalità discriminante, così come l’ha definita nella domanda, perché ha assorbito le energie di tutti, pregiudicando la mia attività professionale e la stabilità generale. Al di fuori o dalle foto di mio figlio pubblicate nel libro, non si può cogliere quale sacrificio è stato necessario patire per fargli raggiungere un miglioramento.

Gli anni passano ed io e mia moglie continuiamo con amore e fatica a prenderci cura di nostro figlio, ma il pensiero è rivolto ai genitori che non hanno un’ottima salute e la capacità di accudire i loro figli, per loro è un dolore sentire che la forza fisica inizia ad abbandonare il corpo e di non poter donare  tutto se stessi.

Interessante il capitolo dedicato alla “Funzione crea struttura” e all’Organizzazione neurologica. Di cosa si tratta?

Questa domanda mi permette di inviare, a quanti sono coinvolti nella disabilità, un messaggio chiaro e decisivo per la riabilitazione dei tanti bambini colpiti da lesione celebrale; mi riferisco alla teoria del metodo Doman – Delacato ed è consequenziale l’uno all’altra. L’Organizzazione neurologica si raggiunge con il programma di lavoro “Funzione crea struttura”, questa tecnica, basata sulla mobilità passiva degli arti, invia stimoli al cervello per metterlo in funzione.

A causa delle loro difficoltà psicomotorie è assolutamente necessario aiutarli sin dai primi giorni della loro esistenza, questo processo di riabilitazione serve a svolgere un preciso “percorso di crescita indispensabile ” uguale a quello di un bambino normale.

Purtroppo è difficile ammettere che i nostri figli soffrono di un male chiamato lesione celebrale, che impedisce al cervello di ricevere le informazioni dall’esterno; la conseguenza è che tutte le vie sensorie rimangono inattive  e,  quindi, anche il sistema nervoso centrale che, senza funzione produce soltanto disorganizzazione neurologica, impedendo al bambino una possibile crescita che si avvicini alla “normalità”. Questa è la grande importanza alla domanda sull’organizzazione neurologica.

Come si supera la concezione della disabilità, vista solo come un problema privato delle famiglie?

Senza presunzione credo che sia necessario approfondire il problema più di quanto sia stato fatto sino ad oggi, evitando di isolarci e farci rimanere totalmente disinformati.  Solo così è possibile accompagnare in ogni fase della vita una persona disabile, altrimenti continueremo ad essere impreparati a svolgere un ruolo così delicato e gravoso e saremo condannati ad assumere il ruolo centrale, in altre parole, la regia di tutta la vita  dei nostri figli, stando attenti che passando da una fase all’altra dello sviluppo, non accadano incidenti che interferiscono gravemente nella fragile psiche di questi ragazzi. La disabilità non è fatto privato, è una condizione sociale che nessuno intende sentire e vedere, perché e, mi perdoni, quanto sto per dichiarare: non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire e peggior cieco di chi non vuole vedere.

Queste ultime dichiarazioni di Salvatore Puglisi non potevano essere più esaustive per definire la condizione della disabilità in Italia; ascoltare la sua storia ci ha fatto riflettere ed è stato inevitabile provare una forte empatia verso la misericordia che spinge Salvatore a continuare nel cammino della fede, perché in essa gli uomini riescono a percorrere la strada del bene supremo.

Grazie a questa testimonianza, abbiamo conosciuto il volto dignitoso di un uomo e di un padre che non ha smesso di credere nella giustizia sociale per se, suo figlio e gli altri non riconosciuti figli di un impietoso stato sociale sordo e cieco.

Maria Francesca Briganti

[notiziecristiane.com]

 

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