La lampada del corpo. L’importanza dello sguardo, cioè dell’attenzione che abbiamo per gli altri.

afoto_04Si dice che l’occhio è lo specchio dell’anima; in effetti riflette i nostri sentimenti, i nostri pensieri. Nello sguardo si può leggere la bontà o la cattiveria, l’affetto o il timore. Gesù dà all’occhio un significato completamente diverso: l’occhio non si limita a riflettere, ma illumina; non è specchio, ma lampada. L’occhio significa sguardo, attenzione. Il nostro sguardo, la nostra attenzione, hanno un’influenza sul corpo, cioè sul nostro comportamento, sulla nostra vita.

La vita dipende dallo sguardo. La nostra vita dipende dallo sguardo con cui guardiamo alle persone e alle cose. Ma anche la vita degli altri dipende dall’attenzione che abbiamo per loro. In questo non facciamo che seguire imperfettamente ciò che Dio fa per noi. La nostra vita dipende dallo sguardo di Dio. Quante volte i Vangeli raccontano che Gesù vide. È importante essere visti da Dio; è importante come Dio ci vede. Dice il Salmo 33: «L’occhio del SIGNORE è su quelli che lo temono, su quelli che sperano nella sua benevolenza, per liberarli dalla morte e conservarli in vita in tempo di fame». Lo sguardo di Dio è penetrante: nulla sfugge al suo giudizio. Ma è anche essenziale per la vita. Se Dio non ci guarda, non viviamo. È bene che Dio guardi a noi. Guai se Dio non guardasse. Il suo sguardo porta benedizione. Guardare la realtà con occhio luminoso significa vedere le possibilità che si aprono, significa immaginare il bene possibile, il nuovo che il Signore ci dischiude. Lo sguardo luminoso è rispetto profondo, fiducia che favorisce la crescita, attenzione che comunica sicurezza. Quando, in una nostra assemblea di chiesa, il cui scopo è di cercare insieme ciò che il Signore vuole da noi, chi vuol parlare incontra lo sguardo freddo o critico degli altri, diventa aggressivo o tace. Così abbiamo chi monopolizza il discorso e chi si chiude nel silenzio. Tutti, al contrario, sono incoraggiati a esprimersi se, con il suo sguardo, chi ascolta esprime fiducia; se il suo sguardo significa: fratello, sorella, ti ascolto perché attendo da te una testimonianza, un contributo che mi aiuti a riflettere e a decidere.

Non restare prigionieri del negativo. Gesù ci invita a mantenere uno sguardo luminoso. L’occhio limpido è il riflesso dello sguardo favorevole di Dio. L’occhio malvagio segnala l’incapacità di vedere oltre l’apparente trionfo del male. Allora la luce si spegne e tutto diventa tenebre. Trionfa la diffidenza, il sospetto, e si diventa incapaci di resistere al male. Quando si vede solo il male, il male penetra in noi. Una persona che sa vedere solo il lato negativo delle cose non è mai di aiuto. Non che dobbiamo diventare ingenui. Gesù non era ingenuo. Se impariamo a guardare in modo favorevole, sappiamo anche vedere chiaramente ciò che non va. La comunità nel suo insieme ha bisogno di persone che sappiano vedere. In modo critico e in modo positivo. Critica in modo giusto chi sa contemporaneamente riconoscere la sua parte di responsabilità. Chi non si tira indietro e non fa mancare il suo sostegno. Questo è importante soprattutto quando tutto appare in una luce negativa, come nell’Italia di oggi. La tentazione di noi protestanti è di tirarcene fuori. Vien voglia di pensare: se l’Italia fosse protestante non sarebbe a questo punto. Nel mio cuore penso spesso anch’io così. Ma questo pensiero non deve nasconderci la realtà: anche in noi, anche nelle nostre comunità, si trovano i difetti che rimproveriamo agli italiani. La furbizia, la poca sincerità, il disordine, la disorganizzazione, sono purtroppo presenti anche fra noi. Dobbiamo allora rassegnarci al peggio? No. Se si cede al male si diventa sempre più malvagi. Dio vede meglio di noi i mali del mondo, eppure non ci nega la sua attenzione, il suo sguardo amorevole, la sua grazia che dà vita. Anche noi, dunque, possiamo mantenere verso la realtà, verso gli altri, uno sguardo luminoso.

La parte tenebrosa in noi. Fin qui ho parlato di uno sguardo che è rivolto verso l’esterno. Ma c’è anche uno sguardo verso l’interno. Dobbiamo anche saper guardare in noi stessi. La psicologia ci dice che di noi non sappiamo tutto. Esiste l’inconscio, ciò di cui non abbiamo coscienza, ma che è reale e influisce sulla nostra vita. Non ci conosciamo pienamente, ma Dio sì. Dio conosce anche il nostro inconscio. Il suo perdono, la sua liberazione, raggiunge anche quella parte di noi che ci rimane oscura. Ma quando Gesù parla di una parte tenebrosa, non intende la parte che ci è nascosta e che solo Dio conosce. Intende la parte che vogliamo nascondere a Dio, così come Adamo ed Eva si sono nascosti dopo la loro disobbedienza. La conseguenza del peccato è anche questa illusione di poterci nascondere allo sguardo di Dio, di riservarci una parte esclusiva, in cui Dio non possa entrare. Per farlo, evitiamo di guardare questa parte. La viviamo, ma non la prendiamo in considerazione. Non la dominiamo; lasciamo che ci domini. Così questa parte diventa tenebrosa.

La trasformazione dello sguardo. Gesù dice: Se dunque tutto il tuo corpo è illuminato, senza avere alcuna parte tenebrosa, sarà tutto illuminato come quando la lampada t’illumina con il suo splendore. Dicendo questo Gesù ci trasforma. Ci trasforma in modo tale che tutta la nostra vita, tutto il nostro comportamento diventa come un ambiente pienamente illuminato. Il nostro sguardo interiore non teme di spingersi anche in quella parte che volevamo nascondere a Dio, e in fondo anche a noi. Allora anche la parte tenebrosa che abbiamo nel nostro corpo, in noi stessi, viene orientata verso la luce. La confessione di peccato significa questo: non voglio nasconderti nulla, non voglio sottrarre nulla al tuo giudizio, anche se questo mi fa soffrire. Perché so che il tuo giudizio distrugge per ricostruire, abbatte per rialzare. Benignamente guardami, o Dio consolatore, dice un nostro inno. Benignamente guardami: quello che distruggi è tenebroso; quello che ricostruisci è luminoso. Quello che abbatti è lontano da te; quello che rialzi è illuminato dalla tua presenza, dalla tua benedizione. La tua benedizione mi illumina con il suo splendore.

Nota. Questo messaggio è tratto dai versetti 34-36 del capitolo 11 di Luca. Qualcuno potrebbe chiedere perché non ho incluso il v. 33: «Nessuno, quando ha acceso una lampada, la mette in un luogo nascosto o sotto un vaso; anzi la mette sul candeliere, perché coloro che entrano vedano la luce». Anche questo versetto parla di una lampada, ma in un senso diverso, parallelo a Matteo 5, 15. La lampada, in questo caso, è immagine del messaggio evangelico, che non può essere tenuto nascosto. I vv. 34-36 applicano invece l’immagine della lampada all’occhio, cioè non a un annuncio, ma a un organo umano; possiamo dire: al modo in cui l’essere umano guarda a se stesso, alle altre persone, alle cose. Perché Luca ha messo insieme questi due usi diversi della stessa immagine? Probabilmente perché li ha trovati già uniti nella fonte di cui si è servito e ha rispettato quest’ordine come ha fatto in molti altri casi. Matteo invece ha collocato il detto sull’occhio in un contesto diverso, in 6, 22-23. Non è dunque il caso che ci sforziamo di vedere tra i due detti un rapporto di contenuto.

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