IL PESO DELLE ANIME PERDUTE

La fede non è mai in relazione a se stessi.

Avere fede non è credere che Dio esista, o credere che possa fare ciò che a noi serve o che vorremmo, che ci piace o che ci abbisogna.

Non è pensare che Il Signore possa esaudire le nostre preghiere o essere certi che ne abbia la capacità.

Avere fede è qualcosa che si spinge di molto oltre le nostre aspettative. Avere fede è essere certi che si realizzerà il progetto di divino al quale apparteniamo, che Verrà il Suo Regno.
Che Egli è salito al Padre per realizzare un luogo non a immagine e somiglianza di uomo ma a immagine e somiglianza di Se stesso nel quale ci accoglierà.

È bene per l’uomo entrare in questo concetto, esso ci aiuta a comprendere ciò che esiste oltre la nostra vita materiale. Ci aiuta (seguendo il modello mostratoci sul monte, Cristo) a prepararci fin da ora ad un futuro che ha il gusto di eternità.

Avere fede è credere che Gesù tornerà a rapire la sua sposa, avere fede è si! Chiedere al Signore, ma chiedere di essere resi idonei alla sua opera, nel modo in cui Egli realizzerà la Sua opera!

Avere fede è sperare nella Salvezza e desiderare quella altrui.

“Talvolta cerco una cosa e sono convinto di averla messa in un luogo ben preciso, che so! un cassetto, nell’armadio, in cantina o in garage, ma non la trovo! Nella mia ostinatezza continuo a cercarla, sempre lì, dove già non l’ho trovata e sono certo di averla messa lì, convinto di vederla apparire mentre frugo, così come per miracolo. Salvo poi dire: beh! Prima o poi verrà fuori, ma sempre da dove sono convinto che sia.”

Così molte volte siamo certi di rendere un servizio a Dio con il nostro operato, di portare i nostri frutti riempiendo le panche della chiesa, evangelizzando, dandoci a qualsiasi tipo di servizio ci sentiamo appagati pensando di avere compiuto il nostro dovere cristiano dandone dimostrazione.

È buono certamente portare il Vangelo a tutte le creature, ma non vi è conversione, redenzione e Salvezza che non venga da Dio per opera dello Spirito Santo, grazie al sacrificio di Gesù.

A noi non compete nulla di più che spargere i semi, andate e predicate ai quattro canti della terra. Il Signore poi raccoglierà il grano e getterà la zizzania.

Gli intenti umani spesso paiono buoni e anche quando lo sono, lo sono in relazione alle cose degli uomini. La visione del Signore certo va oltre.

I Cronache 13:7 Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo, togliendola dalla casa di Abinadab; Uzza e Aio conducevano il carro. 8 Davide e tutto Israele facevano festa davanti a Dio, a tutta forza, cantando e suonando cetre, saltèri, timpani, cembali e trombe. 9 Quando furono giunti all’aia di Chidon, Uzza stese la mano per reggere l’arca, perché i buoi la facevano inclinare. 10 L’ira del SIGNORE si accese contro Uzza, e il SIGNORE lo colpì per avere steso la mano sull’arca; e là Uzza morì davanti a Dio. 11 Davide si rattristò perché il SIGNORE aveva colpito Uzza con un tale castigo; e quel luogo è stato chiamato Perez-Uzza fino a oggi. 12 Davide in quel giorno, ebbe paura di Dio, e disse: «Come farò a portare a casa mia l’arca di Dio?» 13 Davide non ritirò l’arca presso di sé, nella città di Davide, ma la fece portare in casa di Obed-Edom di Gat. 14 L’arca di Dio rimase tre mesi presso la famiglia di Obed-Edom, in casa di lui; e il SIGNORE benedisse la casa di Obed-Edom e tutto quello che gli apparteneva.

Nel racconto biblico pare che tutto fili liscio gli uomini agivano con il massimo rispetto dell’Arca di Dio, avevano persino costruito un carro nuovo, trainato da buoi che non avevano mai portato il giogo, ma… il carro traballa, l’Arca rischia di cadere, Uzza stende “umanamente” la mano e lì si compie l’ira del Signore.

Ai nostri occhi potrebbe sembrare un Dio ingiusto, Uzza avrebbe dovuto lasciarla cadere?

Qui vediamo un atteggiamento abituale a molti credenti ovvero: nello scorrere della nostra quotidianità, nei semplici e moderati alti e bassi di una vita scandita regolarmente abbiamo un comportamento LINEARMENTE cristiano. Il Sacerdote compie il suo dovere.

Siamo ben disposti, moderatamente pazienti, moderatamente gioiosi, moderatamente protesi all’altrui bisogno, umili quanto basta, vestendo un comportamento che calza precisamente all’uomo o donna religiosi.

Non è ingiusto, intendiamoci, moderare gli spunti carnali dell’animo umano, è sempre un ottimo esercizio spirituale e un comportamento corretto. Sotto sforzo “tempriamo” la nostra durezza spirituale.

Ma… come spingersi oltre a ciò che i nostri nervi tengono? Come moltiplicare la portata della nostra pazienza, come frenare i gesti istintivi pur dettati dall’idea di far bene?
Queste prerogative sono acquisibili applicando quanto di più dottrinale abbiamo imparato: obbedienza, umiltà e sottomissione. Questo comportamento è il primo passo, è il latte spirituale di cui si parla nella Bibbia.

Non ha bisogno di essere compreso, ma solamente di essere messo in pratica, esso ci preserva spesso da azioni sconsiderate che non comprendiamo.

Deglutendo, acquistiamo progressivamente la comprensione delle azioni da intraprendere o meno senza procurare o avere danni interiori.

La pazienza poi, il lasciar scorrere del tempo prima di agire o l’osservare dopo non aver agito, ci darà la comprensione del nostro operato corretto o meno.

Ecco che lo zelo se pur ci rende altamente infiammabili nell’amore di Cristo a volte non è che un fuoco di paglia. Appicca rapidamente, arde altissimo alimentato dal vento del trasporto ma a volte si spegne altrettanto rapidamente.

La stoppia brucia bene ma repentinamente diventa cenere e la cenere si dilegua in un attimo nel vento e dove prima si ardeva in un fuoco divampante, ora è tornato il freddo totale.

Spesso qui finisce la nostra testimonianza e purtroppo a volte la nostra vita di fede. Diverso invece alimentarsi con la pazienza, con obbedienza, con sottomissione, con umiltà, ciò insegna a stare in ordine “sottomesso” alle leggi del creato, disposto nel proprio ordine.
Ecco che il fuoco persiste, la fede non è più una scintilla ma brace ardente che mai si spegne neppur se soffocata.

Si! Direi che lo zelo è l’innesco ma il combustibile è l’amore, direi… che una brace ardente infiamma più di una scintilla, che un grande amore accende un grande amore. Che una scintilla non dà fuoco ad un tronco, ma una brace durevole prima o poi lo vedrà divampare.
Allora scopriamo che una Fede sincera si alimenta di amore per i perduti che vorremmo vedere “accesi” come pezzi di carbone in un braciere.

Scopriamo che la tristezza prima e l’amore poi sono il nostro combustibile, scopriamo che la nostra testimonianza di fede non arriva dalle parole ma dai gesti.

Quindi non stendiamo repentinamente la mano su di una possibile futura alleanza ma confidiamo che Dio il Signore conosce i suoi, che la sua opera va sempre a buon fine.

Che la Salvezza di un’anima non è appariscente come un carro adorno, ma un peso da portare sulle spalle.

Così se ci è possibile spargiamo olio più che benzina!

Francesco Blaganò | Notiziecristiane.com

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