Money for nothing? Migrazioni africane, cattive coscienze, quattrini sperperati

II capolavoro tedesco, l’ambiguità francese, ma l’Italia? Che piano abbiamo, qual è la nostra strategia? Manca una visione di lungo raggio.

Mai fidarsi dei soldi facili, per esempio quelli che zitta zitta l’Europa sta regalando all’Italia – fra sconti e altre distrazioni sui bilanci pubblici – in cambio del nostro abbandono sulla frontiera della grande invasione africana. A parole, Bruxelles ci capisce, anzi ci compatisce: la crisi è davvero troppo grave, non vi lasceremo soli. A parole, Angela Merkel ed Emmanuel Macron sono dei veri amici: non consentiremo più alle altre nazioni europee di far prevalere il loro furbesco egoismo sul dovere di assumersi le necessarie responsabilità nella ripartizione delle quote di migranti stabilite dagli accordi. Ma i fatti? I fatti dicono che l’Unione Europea sta maneggiando una burrosa procedura d’infrazione contro tre stati isolazionisti: Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria. Ma essendo l’euroburocrazia una megamacchina lenta e paludosa, e sopra tutto essendo alle dirette dipendenze di Berlino e Francoforte (citofonare Mario Draghi) con Parigi a fare da complemento, c’è poco d’incoraggiante in vista.

La Germania ha già dato, in un certo senso, accogliendo nel 2015 la cifra record di un milione di profughi. Il che la rende più forte oggi nel negoziato sulle procedure europee d’accoglienza e nel ricordare ai partner continentali che il Quarto Reich non ha incombenze cui adempiere. Tutto vero, ma c’è un ma: Berlino ha saputo congegnare una virtuosa selezione all’ingresso, combinando la generosità al proprio interesse strategico. Il 40 per cento dei rifugiati oggi stanziati in Germania, circa 428.500 persone, proviene dalla buona borghesia delle professioni fuggita da quel che resta della Siria di Assad. La parte rimanente ha passaporto afghano, iracheno, albanese e via a discendere lungo la dorsale sempre più povera del pianeta. I tedeschi si sono mostrati lungimiranti, tempestivi, bene organizzati: hanno fatto di conto circa il loro basso tasso di natalità, hanno monitorato l’impatto potenziale degli allogeni sul mercato del lavoro, ne hanno tratto le conseguenze e si sono attivati per trasformare l’emergenza in opportunità, la migrazione in manodopera. Se non è un capolavoro, poco ci manca.

La Francia non può vantare analoghe capacità, oltretutto sconta un problema di destrutturazione morfologica – la dialettica banlieue/centro e quella tra città metropolitane e grandi periferie agricole – sulla quale s’innesta una bomba a orologeria rappresentata dall’alto tasso d’islamizzazione del radicalismo sociale. Parigi ha abbastanza guai, e prima ancora che Macron arrivasse alla presidenza della Repubblica aveva già stabilito di chiudere ermeticamente le proprie frontiere all’immigrazione subsahariana transitante dall’Italia. Drôle d’amitié, non vi pare? E in effetti il nuovo capo dell’Eliseo, malgrado il banale sfoggio d’umanitarismo e di solidarietà per i guai italiani, persevera bifido nella politica del filo spinato.

Intanto l’Italia terremotata dall’instabilità politica si affida alle poche strutture valide di cui dispone in materia di emergenza e di sicurezza: Croce Rossa e ministero dell’Interno. Il nostro stimato Marco Minniti fa da rompighiaccio: la minaccia di serrare i porti alle navi straniere è un messaggio (ostile) alle nuore delle Ong affinché le suocere di Bruxelles intendano: riaprite le vostre frontiere, convincete Spagna, Francia, Croazia e Malta a condividere l’onere, oppure noi saremo costretti a rinserrarci nei nostri confini naturali. Il premier Gentiloni e il presidente Mattarella coprono le spalle al Viminale, consapevoli di poter pretendere ma senza eccedere nel gioco delle parti. Qualcosa avverrà, molto probabilmente, e non sarà un’apertura soltanto simbolica a nostro beneficio. Ma siamo sicuri che l’Italia abbia la coscienza a posto?

Nient’affatto. Il ceto politico al governo sta riservando agli enti locali lo stesso ambiguo trattamento da noi subìto per mano europea: soldi in cambio di accoglienza purchessia. Al vorticoso giro di affari che già coinvolge l’intrapresa privata che si dedica all’ospitalità e alla presunta integrazione dei migranti (meglio del narcotraffico, secondo alcune note intercettazioni telefoniche con rilievo penale), si aggiunge il carico di stress sociale scaraventato sulle spalle di paesi e piccole città di frontiera, o di elezione per decreto, che ha come controparte i famosi 35-38 euro giornalieri per migrante. Nulla d’illegale, salvo casi isolati. Nulla d’immondo, perché aiutare chi ha bisogno è un atto di necessaria nobiltà. Ma anche, ed ecco il punto, nulla di strategico. Manca una visione di lungo raggio, mancano seri piani di compatibilità urbanistica e sociale, mancano elaborazioni nitide dal centro e riscontri chiari dalla periferia. Manca una regia. E quando verranno a mancare pure i soldi? Ci lamenteremo dell’Europa matrigna. Avremo ragione. Avremo torto.

Foto Ansa

Alessandro Giuli | Tempi.it

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