QUANDO IL VENTO E IL SOLE INIZIANO A LITIGARE…

Un giorno il vento e il sole cominciarono a litigare. Il vento sosteneva di essere il più forte, ma il sole ribatteva dicendo di essere la forza più grande della terra. Alla fine decisero di fare una prova.
Videro un uomo che stava camminando lungo un sentiero e decisero che colui che sarebbe riuscito a togliergli i vestiti sarebbe stato dichiarato il più forte.

Il vento si mise all’opera per primo: cominciò a soffiare e soffiare, ma il viandante per proteggersi si avvolse ancora più strettamente nel mantello. Il vento allora soffiò con forza ancora maggiore, ma l’uomo chinò la testa e si avvolse coprì il collo con un lembo di stoffa. Poi toccò al sole mettersi alla prova. Il sole cacciò via le nubi e cominciò a splendere riscaldando l’aria. L’uomo si aprì il mantello. Il sole allora, molto soddisfatto, intensificò il calore dei suoi raggi. L’uomo cominciò a sudare e, arrivato sulle rive di un ruscello, si spogliò dei suoi abiti e senza esitare si tuffò in acqua. Il sole, vittorioso, rideva e rideva mentre il vento, deluso e vinto, corse a nascondersi in un luogo lontano.

La favola di Esopo ci insegna e ci fa riflettere… il più delle volte utilizzare la forza o la violenza verbale per ottenere risultati persuasivi si rivela inutile e spesso si ottengono reazioni di chiusura se non di rigetto. Quante volte i nostri comportamenti dettati dalla rabbia o dall’impulsività ci hanno condotto a proferire linguaggi osceni o totalmente inadeguati? Abbiamo considerato le nostre azioni “esplosive” e valutato le conseguenze ? Certamente non avremmo assunto tali comportamenti, verso il destinatario delle nostre sfuriate, se anziché permettere alla rabbia di gestirci, ci saremmo lasciati condurre dall’autocontrollo ma soprattutto dall’amore.  Non si sente amore quando si è tentati dall’ira, dall’impazienza o dalla ricerca del proprio egocentrismo credendo il peggio e rinunciando a cercare l’intesa e la riconciliazione. Le reazioni energiche e le pretese fanno parte della natura umana e non appartengono a chi vive “nel e per l’amore “.

Tutti parlano d’amore ma non tutti lo esercitano. Domandiamoci cos’è l’amore?  Umanamente associamo all’amore a bei sentimenti.  Ma il vero amore non dipende da sentimenti passionali o emozionali verso  qualcuno. Che sia amore romantico, per un membro della mia famiglia per  un amico o un  collega,   spesso l’amore è dato e ricevuto in conformità a ciò che si  ottiene.   L’amore è molto di più, non conosce ne confini ne interessi personali ed è totalmente privo di pregiudizi. Nega  sentimenti  negativi e gioisce, nella longanimità, nel dimostrare  pazienza nel  sopportare ogni cosa, questo è vero amore. L’amore depone la propria vita  e non si aspetta nulla in cambio.

L’amore non offre la possibilità di rilevazione tramite strumenti di misura,   bensì il calibro   è incondizionatamente indipendente a prescindere dalle azioni del nostro prossimo. A quale sforzo occorre  costringersi per imporsi di  amare qualcuno che vorremmo ignorare?  Come  dice di amare la bibbia? Nelle Sacre Scritture la parola “amore” è citata innumerevoli volte  dalla Genesi all’Apocalisse, e  se consultassimo  la Bibbia in lingua greca, troveremmo  quattro parole descrivere i vari aspetti dell’amore. Tre di questi termini furono usati per scrivere il Nuovo Testamento: File, Agape Storgay. La definizione di Fileo è quella di un affetto fraterno verso qualcuno che ci piace davvero. Agape  è l’amore più profondo, significa fare cose buone per un’altra persona. Storgay si riferisce ad amare i propri parenti. È un termine relativamente sconosciuto che viene usato solo due volte nelle Scritture come composto.  Quindi dopo attente analisi e riflessione delle Sacre Scritture non possiamo far altro che ammettere che le Sacre Scritture  parlano di amore nelle  diverse forme ma la stessa Bibbia dipende da due comandamenti assoluti, infatti, in  Matteo 22: 34-40 leggiamo : “ I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono; e uno di loro, {dottore della legge,} gli fece una domanda per metterlo alla prova: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?” Gesù gli disse: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “ Ama il tuo prossimo come te stesso ”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti .”

Amare Dio e il nostro prossimo è un comandamento non una scelta   L’amore è da Dio e chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio, perché Dio è amore. “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo.

“In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.” 1 Gv 4: 10-11

E’ facile amare qualcuno che ricambia il nostro amore,  ma ciò non prova che siamo ripieni  d’amore. Dio ci ha amati prima che noi amassimo lui, e sicuramente non abbiamo fatto nulla per meritare quell’amore. Che cosa succede se qualcuno mi ha trattato male?  Il mio sentimento rimane inalterato ?  L’amore si propaga  non solo per coloro dimostrano amore.  L’ AMORE  ama i suoi nemici; ama per primo, e non  si dissolve  se quell’amore non viene mai ricambiato, perché è radicato e fondato su Gesù.

“Ma io vi dico: Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi maltrattano e vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro, che è nei cieli.” Matteo 5:44-45.

L’inclinazione umana vorrebbe  che siano gli altri a cambiare atteggiamenti  perché appare difficile  amare il nostro simile con le sue peculiarità quando preferiremmo che  fosse diverso.  Ciò non attesta la nostra fedeltà a Dio ma conferma che siamo concentrati su noi stessi, sulla   nostra serenità  e comodità; cerchiamo il nostro interesse e non il benessere fraterno degli altri.

L’interesse proprio, l’atteggiamento di chi sa tutto, la presunzione, la testardaggine, l’arroganza del “Io sono più santo di te “ e  tutte le attitudini  del peccato che si esprimono  nel relazionarsi con  altri, sono piccoli sassi che diventano macigni nel corso della  vita spirituale. Il riconoscere e permettere di   purificare tali avversità conduce  a credere, a sperare e  a sopportare ogni lato spinoso  degli altri.  Gesù ha dato la sua vita per  tutti gli uomini, manifestazione suprema di amore! Quando si offerse al Sacrificio non si chiese se qualcuno fosse   meno meritevole.  Amare non significa accordarsi o condividere  il peccato di alcuni,  ma significa  manifestare mansuetudine facendo leva  sulla condizione peccaminosa. L’ azione indipendentemente dai  sentimenti nutriti  verso il prossimo, consiste che  l’amore permetta di passare dall’avere un’avversione naturale per qualcuno ad avere un vero e proprio amore per la loro vita e la loro Salvezza.   Lo Spirito Santo ci guiderà a pregare per loro, avere fede per loro,  al fine di aiutarli dal dissuaderli nel commettere azioni che  potrebbero rivelarsi dannose.  Consideriamo che la buona testimonianza resa, potrà fungere da calamita  perché attraverso noi, le persone sentiranno un’attrazione verso Cristo. È l’amore ad attirare le persone e la bontà, la gentilezza, la  mitezza del cuore, la pazienza e la  comprensione saranno  doni eccellenti affinché  si possa essere imitatori di Gesù.   Come può qualcuno sentirsi attratto se emergono  impazienza,  superbia, scortesia, ecc.? Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello. “ 1 Giov. 4:20–21

La vita umana, si riduce a due possibilità: entrare in un circolo virtuoso dove l’amore del fratello dimostra l’amore per Dio e l’amore per Dio si compie nell’amore per il fratello; contrariamente coincide con un circolo vizioso, nel quale l’odio del fratello è la dimostrazione lampante che non si crede nel Dio di Gesù Cristo, ma in un idolo, una proiezione della propria volontà di potenza. La lettera di Giovanni termina con queste parole: “Figlioli, guardatevi dagli idoli” 1 Giov. 5: 21

Una breve e concisa frase  che sottolinea una meditazione estrema e, costringe il  lettore a interrogarsi : “Ma in quale Dio credo? Se non m’importa nulla del fratello  o del mio prossimo, sono certo di credere nel Dio di Gesù Cristo?” Questa incertezza  dovrebbe  attraversare la mente del credente, il quale  ritiene di compiacere  Dio riempiendo la propria vita di ritualismi religiosi. Paradossalmente più si vive a contatto con la Parola e con le pratiche religiose in genere, più il contrasto diventa netto, in proporzione a tutta questa fede che non s’identifica negli atteggiamenti di servizio, di accoglienza, di perdono, di fraternità bensì si classifica diventando una menzogna, nello specifico quando la propria fede non si traduce in vita concreta di servizio all’altro!

“In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello. Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno, e uccise il proprio fratello. Perché l’uccise?  Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste!” 1 Giov. 3: 10-12

Lella Francese

 

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