Quelli che la migrazione è colpa dei ricchi

Ci sono tanti modi di sfruttare i migranti: c’è chi prospera incentivandone, controllandone e guidandone l’esodo dai propri paesi verso l’Europa. C’è chi li usa per tornaconti politici o per costruirci un business. Ma c’è anche chi li usa per promuovere ideologie e agende politiche varie. Anche in quest’ultimo caso la disinformazione è uno strumento decisivo.

Un’ottima sintesi degli argomenti al proposito oggi più diffusi ce la dà un articolo uscito in questi giorni sul quotidiano La Stampa, a firma di Tommaso Carboni, e che già dal titolo ci annuncia «la più grande migrazione della storia» dal Sahel. Si parla quindi di quella fascia che attraversa tutta l’Africa a sud del Sahara, dalla Mauritania fino ad alcune regioni dell’Etiopia.

Le cause di questa grande migrazione? La siccità provocata dai cambiamenti climatici e la crescita incontrollata della popolazione per mancanza di contraccettivi: due grandi classici della propaganda mondialista, in cui alla fine l’accettazione dei migranti da parte dell’Europa diventa una forma di espiazione necessaria per le colpe passate e presenti. Infatti, ci avverte La Stampa nella titolazione: «I ricchi inquinano, i poveri pagano». Il riscaldamento globale (+ 3-5 grandi entro il 2050 e +8 gradi entro il 2100, dice sempre il nostro giornalista) è la formula magica che spiega questo assunto: sarebbero infatti le emissioni di anidride carbonica dei paesi ricchi a provocare questi disastri che spingono masse di popolazione a migrare.

Intanto, come abbiamo spiegato più volte, le emissioni di anidride carbonica sono cosa diversa dall’inquinamento, essendo che l’anidride carbonica è un elemento essenziale per la vita sulla terra. Quanto poi ai disastri naturali provocati dal riscaldamento globale, bisogna sapere che la siccità in effetti è la regola in queste aree e un periodo prolungato di siccità come quello attuale non è purtroppo un fatto nuovo legato a un inarrestabile cambiamento del clima. Tra l’altro, aumenti della temperatura globale nei termini presentati dagli eco-catastrofisti è pura fantasia: già oggi si rivelano sbagliate le previsioni fatte negli anni ‘90, visto che da 15 anni c’è una pausa nella crescita, peraltro tutt’altro che senza precedenti, della temperatura globale. Figuirarsi se è possibile fare previsioni attendibili a 30 o 80 anni.

Ma soprattutto non c’è un automatismo tra siccità e carestia. Come abbiamo più volte documentato la carestia è provocata dagli uomini sì, ma non nel senso voluto dai cantori del riscaldamento globale antropogenico (clicca qui e qui). Sono infatti le guerre, i conflitti tribali, la corruzione, il sottosviluppo (compresa un’agricoltura primitiva), la negligenza e l’avidità dei leader locali a trasformare difficili condizioni ambientali in disastri umanitari. È il caso del Sud Sudan, della Somalia, del nord della Nigeria.

Recentemente il quotidiano britannico The Guardian proponeva un esempio interessante mettendo a confronto il caso della Somalia, dove nel 2011 260mila persone sono morte a causa della carestia conseguente alla siccità, e del Senegal, dove una analoga siccità nel 2014 non ha provocato alcun morto. Il motivo? Il Senegal, insieme a Mauritania, Niger e Kenya, ha promosso la creazione di un fondo assicurativo (ARC, African Risk Capacity), che da dieci anni protegge bilanci statali e popolazioni vulnerabili dalle conseguenze di eventi meteo estremi. Nello stesso tempo la Somalia è dilaniata dalla guerra civile. È solo un esempio, ma spiega bene che in aree dove la siccità è la norma, interventi previdenti fanno certamente la differenza.

Si potrebbe anche aggiungere che le migrazioni che hanno come terminale l’Europa non sono affatto legate alle carestie africane. Chi è alla fame e non ha più nulla non ha neanche forza e risorse per solo pensare ad attraversare tutto il Nordafrica per poi imbarcarsi alla volta delle coste italiane. Chi è in queste condizioni si sposta il minimo necessario per trovare qualcosa da mangiare. Per poter sperare in un passaggio verso l’Europa bisogna essere in salute e avere la disponibilità di qualche migliaio di euro da pagare ai trafficanti che gestiscono le rotte, condizioni che riguardano soltanto giovani adulti che già nei loro paesi si può dire siano dei privilegiati.

Quanto poi alla questione demografica, è vero che l’Africa è il continente dove maggiore è la crescita della popolazione – peraltro stimata -, ma se ci riferiamo soltanto al Sahel stiamo parlando di una popolazione attuale complessiva di poco superiore ai 100 milioni di persone su una superfice di poco inferiore a quella dei 28 paesi dell’Unione Europea, che ospita in ottime condizioni, una popolazione cinque volte più grande. In questa differenza abissale sicuramente anche le condizioni naturali hanno il loro ruolo, ma dovrebbe risultare chiaro che causa della migrazione non è il numero eccessivo degli abitanti. Il problema da affrontare è invece il sottosviluppo, e non certo con i contraccettivi. La realtà è che nei paesi africani più poveri, così come in tutti i paesi che si trovano nelle stesse condizioni, i contraccettivi sono già diffusi in abbondanza.

Ci dicono gli esperti che nei 69 paesi più poveri del mondo (la maggior parte dei quali è in Africa) ben oltre 300 milioni di donne hanno già abituale accesso a metodi contraccettivi (non per scelta delle donne povere ma per imposizione delle organizzazioni internazionali), e una partnership globale (ONU, governo britannico, Fondazione Bill & Melinda Gates e altri) è all’opera perché entro il 2020 altre 100 milioni di donne siano coperte da questi programmi. tanto per fare un confronto, negli stessi paesi mancano i più elementari medicinali o presidi sanitari. Stando ai dati Unicef, ad esempio, dei circa 7,6 milioni di decessi annuali infantili (0-5 anni), la maggior parte è dovuta a infezioni respiratorie acute, dissenteria, morbillo e malaria, tutte malattie che potrebbero essere prevenute o controllate facilmente. Più in generale, si continua a non promuovere politiche efficaci di sviluppo per questi paesi, l’unico rimedio vero alle migrazioni forzate e alla vulnerabilità davanti agli eventi meteorologici.

di Riccardo Cascioli | Lanuovabq.it

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